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Perfect Days: il trailer italiano del nuovo film di Wim Wenders (Al cinema dal 4 gennaio 2024)

Arriva nei cinema italiani con Lucky Red Perfect Days, il nuovo film di Wim Wenders premiato all’ultimo Festival di Cannes.

pubblicato 30 Dicembre 2023 aggiornato 18 Gennaio 2024 12:09

Vincitore della Palma d’oro per il migliore attore (Kôji Yakusho) all’ultimo Festival di Cannes, arriva nelle sale italiane dal 4 gennaio 2024 con Lucky Red Perfect Days, il nuovo film di Wim Wenders, candidato per il Giappone agli Oscar 2024.

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Perfect Days – Trama e cast

La trama ufficiale: Hirayama (Kôji Yakusho) conduce una vita semplice, scandita da una routine perfetta. Si dedica con cura e passione a tutte le attività della sua giornata, dal lavoro come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo all’amore per la musica, ai libri, alle piante, alla fotografia e a tutte le piccole cose a cui si può dedicare un sorriso. Nel ripetersi del quotidiano, una serie di incontri inaspettati rivela gradualmente qualcosa in più̀ del suo passato.Dal pluripremiato autore de Il cielo sopra Berlino, una riflessione commovente e poetica sulla ricerca della bellezza nel mondo che ci circonda.

Il cast è completato da Yumi Asô, Tokio Emoto, Sayuri Ishikawa, Tomokazu Miura, Arisa Nakano, Min Tanaka, Aoi Yamada.

Perfect Days – Il trailer italiano ufficiale

Curiosità sul film

  • Vincitore della Palma d’oro con Paris, Texas nel 1984, del premio per la miglior regia nel 1987 per Le ali del desiderio e del Gran Premio della giuria nel 1993 per Così lontano così vicino, “Perfect Days” è il sesto film nella selezione ufficiale di Cannes per Wim Wenders.
  • Wim Wenders dirige il film da una sua sceneggiatura scritta con Takuma Takasaki (Honokaa bôi). Takasaki è uno dei più importanti direttori creativi del Giappone e negli ultimi anni è stato attivo anche come scrittore di romanzi. In Giappone è stato nominato due volte “Creatore dell’Anno”. È specializzato in spot pubblicitari e nella creazione di grandi campagne. Ha realizzato uno spot pubblicitario per un servizio di distribuzione cinematografica con Robert De Niro e uno spotpubblicitario con Richard Gere che hanno riscosso un grande successo. Ha anche scritto numerose sceneggiature per film e serie televisive. Attualmente è in fase di sviluppo un adattamento cinematografico del suo romanzo “Auto-Reverse”.
  • Koji Yakusho (1956) è un acclamato attore giapponese e uno degli artisti asiatici di maggior successo e maggiormente riconosciuti a livello internazionale, anche grazie alle prove in film come Memorie di una Geisha e Babel. Oltre che a livello internazionale, Yakusho ha recitato in una vasta gamma di film di successo nel suo paese d’origine, che gli hanno valso grandi elogi, tra cui The Eel (1997) ed Eureka (2001). Più recentemente è stato premiato come miglior attore protagonista al Festival Internazionale del Cinema di Chicago per la sua magnetica interpretazione in Under the Open Sky (2020).
  • Il cast tecnico: Fotografia di Franz Lustig / Scenografia Towako Kuwajima / Montaggio Toni Froschhammer / Suono di Rin Takada & Frank Kruse
  • Il film è stato girato in soli 17 giorni.

Intervista con Wim Wenders

Kōji Yakusho e Wim Wenders  (Photo by Dominique Charriau/WireImage)

Perfect Days segna il suo ritorno in Giappone dopo diversi decenni. Come è nato questo film?

Il film è nato in maniera totalmente inaspettata, da una lettera ricevuta all’inizio dell’anno scorso: “Saresti interessato a girare una serie di cortometraggi a Tokyo, magari 4 o 5, di circa 15-20 minuti ciascuno? Questi film tratterebbero tutti di uno straordinario progetto sociale pubblico, coinvolgerebbero il lavoro di grandi architetti e ci assicureremo che tu stesso possa sviluppare le sceneggiature e ottenere il miglior cast possibile. Inoltre, ti garantiremo la totale libertà artistica.” Sembrava interessante, per usare un eufemismo. Già̀ da anni desideravo tornare in Giappone e avevo dei veri e propri attacchi di nostalgia per Tokyo. Dunque continuai a leggere: l’argomento avrebbe riguardato i bagni pubblici e la speranza era di trovare un personaggio attraverso il quale si potesse comprendere l’essenza della cultura giapponese dell’accoglienza, in cui i bagni giocano un ruolo completamente diverso rispetto alla nostra visione occidentale di semplici servizi igienico-sanitari. In Giappone sono piccoli santuari di pace e dignità. Mi sono piaciute le foto che ho visto di quelle meraviglie architettoniche. Somigliavano più̀ a dei templi che a dei gabinetti. Mi piaceva l’idea di “arte” legata ad essi. E sicuramente mi piaceva l’idea di vederli in un contesto romanzato. Ho sempre la sensazione che i “luoghi” siano protetti meglio nelle storie che in un contesto non romanzato. Ma non mi piaceva l’idea di una serie di cortometraggi. Quella non è la mia lingua. Invece di girare 4 volte in 4 giorni, ho risposto, perché non girare un vero film in questi 17 giorni? Cosa ci fate con 4 cortometraggi? Immaginate, invece, avere un solo lungo lungometraggio! La risposta è stata: adoriamo la tua idea! Ma è fattibile? Ho risposto: “Sì! Se riduciamo la nostra storia ad una sola parte principale e usiamo meno luoghi. Ma prima dovrei venire a vedere di persona. Non posso immaginare una storia senza conoscerne i luoghi. E sono nel bel mezzo delle riprese. Posso darvi una settimana a maggio e poi potremmo girarlo a ottobre, durante il periodo di postproduzione dell’altro film”. Alla fine sono volato a Tokyo a maggio, per 10 giorni. Ho potuto incontrare Koji Yakusho, un attore col quale sognavo di lavorare, che avevo sempre ammirato. Ho visto diversi posti, tutti a Shibuya, un quartiere che adoro. Quei bagni erano troppo belli per essere veri. Ma non era di loro che avrebbe parlato il film. Questo avrebbe potuto diventare un film solo se fossimo riusciti a dar vita a un addetto alle pulizie unico, un personaggio realmente credibile e reale. Solo la sua storia avrebbe avuto importanza, e solo se fosse valsa la pena guardare la sua vita, avrebbe potuto portare avanti il film, e quei luoghi, e tutte le idee ad essi legate, come ad esempio il forte senso del “bene comune” giapponese, il rispetto reciproco per “la città” e “gli altri”, che rendono la vita pubblica in Giappone così diversa dal nostro mondo. Non avrei mai potuto scriverlo da solo. Ma ho potuto contare su Takuma Takasaki, un ottimo sparring partner e co-sceneggiatore. Abbiamo scavato in profondità per trovare il nostro uomo…

Il film descrive in modo quasi poetico la bellezza del quotidiano attraverso la storia di un uomo che vive un’esistenza modesta ma molto felice a Tokyo.

Sì, tutto questo è vero. Ma tutto è venuto fuori grazie a Hirayama. Ho immaginato un uomo con un passato privilegiato e ricco. Il quale, a un certo punto, aveva avuto un’illuminazione, quando la sua vita si trovava al punto più basso, mentre guardava il riflesso delle foglie creato dal sole che splendeva miracolosamente nell’inferno in cui si stava svegliando. La lingua giapponese ha un nome speciale per queste fuggevoli apparizioni che compaiono dal nulla: “komorebi”: la danza delle foglie nel vento, che cadono come un gioco d’ombra su un muro di fronte a te, creato dal sole, la fonte di luce là fuori nell’universo. Questa apparizione aveva salvato Hirayama e lui aveva scelto di vivere un’altra vita, fatta di semplicità e modestia, diventando l’addetto alla pulizia dei bagni della nostra storia. Scrupoloso, soddisfatto delle poche cose che ha, tra cui la sua vecchia macchina fotografica (con la quale fotografa solo alberi e komorebi), i suoi libri tascabili e il suo vecchio registratore, con la collezione di cassette che ha conservato dalla sua giovinezza. La sua scelta musicale ha ispirato anche il nostro titolo, quando Hirayama (già in sceneggiatura) un giorno ascolta “Perfect Day” di Lou Reed. La routine di Hirayama è diventata la spina dorsale della nostra sceneggiatura. La bellezza di un ritmo così regolare, fatto di giornate “tutte uguali”, è che inizi a vedere tutte le piccole cose che non sono mai le stesse ma che cambiano ogni volta. Il fatto è che se impari davvero a vivere interamente nel qui e nell’ora, non esiste più la routine, esiste solo una catena infinita di eventi unici, di incontri unici e di momenti unici. Hirayama ci porta in questo regno di beatitudine e appagamento. E mentre il film vede il mondo attraverso i suoi occhi, vediamo anche tutte le persone che incontra con la stessa apertura e generosità: il suo pigro collega Takashi e la sua ragazza Aya, un senzatetto che vive in un parco dove Hirayama lavora ogni giorno, la nipote Niko, che cerca rifugio a casa dello zio, “mama”, la proprietaria di un modesto ristorantino dove Hirayama trascorre i suoi giorni liberi, il suo ex marito e tanti altri personaggi.

Cosa la affascina del Giappone e della sua cultura, e nello specifico quali elementi della cultura giapponese sono prevalenti per lei in questo film?

Il “servizio” ha una connotazione completamente diversa in Giappone, rispetto al nostro mondo. Alla fine delle riprese ho incontrato un famoso fotografo americano che non riusciva a credere che avessi realizzato un film su un uomo che pulisce i bagni. “Questa è la storia della mia vita!” Ha detto. “Quando da giovane venni in Giappone per imparare le arti marziali, il famoso insegnante da cui andai mi disse: “Se lavori nei bagni pubblici per sei mesi, pulendoli ogni giorno, allora potrai tornare a trovarmi”. Ed è quello che feci. Mi alzavo ogni giorno alle 6 per pulire i bagni, in uno dei
quartieri più poveri di Tokyo. L’insegnante mi seguì da lontano e dopo mi prese come suo allievo. Ma ancora oggi lo faccio una settimana all’anno. (L’uomo ha ormai sessant’anni e non è mai tornato in America.) Comunque, questo è solo un esempio. Ci sono altre storie di capi di grandi aziende che si sono guadagnati il rispetto dei loro dipendenti solo dopo essere arrivati al lavoro prima di loro e aver pulito i bagni comuni. Questo non è un lavoro “inferiore”. Piuttosto è una forma di atteggiamento spirituale, un gesto di uguaglianza e modestia. E poi basta vivere brevemente in Giappone per comprendere l’importanza del “Bene Comune”. Una volta, durante un lungo soggiorno in Giappone, mentre stavo lavorando lì alle sequenze oniriche di Fino alla fine del mondo, ricevetti la visita di un amico americano che non era mai stato in Giappone prima. Era inverno e molte persone giravano con le mascherine (30 anni prima della pandemia.) “Perché sono tutti così spaventati di prendere un virus?” mi chiese il mio amico. Gli dissi: “Ti sbagli. Hanno già il raffreddore, indossano le mascherine per proteggere gli altri”. Mi guardò incredulo. “No, stai scherzando!” Non scherzavo affatto, questo è un comportamento molto comune in Giappone.

Ha una lunga storia con Tokyo e il Giappone. La stessa Tokyo gioca un ruolo importante in Perfect Days, perché ha avuto la straordinaria possibilità di girare in luoghi dove solitamente non è consentito girare. Com’è stata l’esperienza di girare a Tokyo? E come è cambiata Tokyo daitempi di Tokyo-Ga?

Ho iniziato ad amare Tokyo alla fine degli anni Settanta, quando vagando per la prima volta nella città finivo spesso per perdermi. Fu un momento di pura meraviglia. Andavo in giro per ore, senza sapere dove mi trovassi, in questa enorme città, poi salivo su qualsiasi metropolitana e magicamente ritrovavo il mio hotel. Ogni giorno andavo in una zona diversa. Sono rimasto stupito dalla struttura apparentemente caotica della città, dove trovi vecchi isolati con antiche case di legno accanto a grattacieli e incroci trafficati, dove cammini sotto autostrade fantascientifiche a due o tre piani circondate da labirinti di stradine tranquillissime. Ero affascinato da tutto il futuro che vedevo prendere forma. Allora avevo sempre visto gli Stati Uniti come il luogo dove trovare il futuro. Qui in Giappone ho trovato un’altra versione del futuro, che mi si adattava davvero bene. E poi, ovviamente, ho conosciuto il Giappone attraverso i film di Yasujiro Ozu (che è tuttora il mio maestro, anche se ho avuto modo di vedere il suo lavoro solo quando era già un giovane regista con diversi film all’attivo) che ci offre un resoconto del drastico cambiamento della cultura giapponese dagli anni Venti fino all’inizio degli anni Sessanta, quando lui morì. Tokyo-Ga l’ho realizzato nell’82, sulle sue tracce, cercando di capire come Tokyo fosse già cambiata dall’ultima volta che aveva girato lì, 20 anni prima.

Wim Wenders – Note biografiche

Wim Wenders  (Photo by John Phillips/Getty Images)

Wenders nasce nel 1945 e si afferma a livello internazionale come uno dei nomi di punta del Nuovo Cinema Tedesco degli anni ’70. Oggi è considerato uno dei più̀ importanti protagonisti del cinema contemporaneo. Oltre ai suoi pluripremiati lungometraggi, il suo lavoro come sceneggiatore, regista, produttore, fotografo e autore comprende anche numerosi documentari  innovativi.

La sua carriera come regista inizia nel 1967, quando si iscrive alla neonata Scuola di Televisione e Cinema di Monaco (HFF Monaco). Parallelamente ai suoi studi, lavora per diversi anni come critico cinematografico. Dopo il diploma all’Accademia nel 1971, fonda insieme ad altri quindici registi e autori il Filmverlag der Autoren, una società̀ di distribuzione cinematografica di film d’autore tedeschi, che gestiva la produzione, l’amministrazione dei diritti e la distribuzione dei propri film indipendenti.

Dopo Prima del calcio di rigore (1971), il suo lungometraggio d’esordio dopo il film di diploma Estate in Città, Wenders si dedica alla cosiddetta Trilogia della Strada, Alice nelle Città (1973), Falso movimento (1975) e Nel corso del tempo (1976), i cui protagonisti fanno i conti con il loro sradicamento nella Germania del dopoguerra. La svolta internazionale arriva con L’amico americano (1977), tratto da un romanzo di Patricia Highsmith. Da allora Wenders continua a lavorare sia in Europa che negli Stati Uniti, così come in America Latina e Asia, e i suoi film partecipano ai principali festival internazionali.

Tra i riconoscimenti ottenuti ricordiamo almeno il Leone d’oro alla Mostra di Venezia per Lo stato delle cose (1982); la Palma d’Oro al Festival di Cannes e il BAFTA per Paris, Texas (1984); il Premio per la regia a Cannes, sempre a Cannes, per Il cielo sopra Berlino (1987). I suoi documentari Buena Vista Social Club (1999), Pina (2011) e Il sale della terra (2014) sono stati tutti nominati all’Oscar. Wenders riceve l’Orso d’oro onorario alla carriera al Festival di Berlino 2015 e il Praemium Imperiale dalla Japan Arts Association nel 2022.

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